I classificato
Arde la fiamma della libertà (di Vittorio Di Ruocco)
Cadono gli uomini e il sangue sul sagrato
non placa la vendetta orba e crudele.
L’anima di Drouet è già volata
nel regno imbalsamato delle ombre:
gli resta da rimpiangere la vita
e forse ancora un flebile ricordo.
Arde la fiamma della libertà
s’abbatte come scure a cancellare
l’ultimo empio oltraggio alla bellezza.
C’è ancora luce sopra la città
e s’alzano le grida disperate
si ammassano le anime indifese
nell’ora del crepuscolo dolente.
E non c’è pace per gli usurpatori
trema la terra e brillano le lame
al sole ancora acceso del tramonto:
è il tempo velenoso della morte.
La caccia all’angioino è cominciata
la nemesi implacabile travolge
la vile tracotanza dei soldati
la “mala signoria” che impallidisce.
L’ora della sentenza è ormai vicina
dal popolo un vessillo s’è levato
ha impresso il volto della dignità.
II classificato
Canto di carusi (di Lucia Lo Bianco)
È stato forse il cielo o la nuda terra
a generare questa carne offesa
che brucia al sole dell’inferno
e gela nelle caverne della notte,
ma la mia pelle grida quando
la frusta s’avvicina e cerca vesti
per cancellare il marchio dello zolfo.
Siamo carusi, piegati a mezzo
nei cunicoli più oscuri, la testa
calva, rasata come agnelli,
quasi sfiora la terra e i propri piedi.
Come lucertole strisciamo forte il suolo
e ricerchiamo la luce che scompare
e con la polvere viviamo in questo corpo
che nudo e sporco ha perduto l’avvenire.
Ma c’è un giardino comparso dentro i sogni
ch’ è colorato con l’azzurro all’orizzonte
e sa di miele lo zucchero dei campi
che chiari e limpidi si aprono al cammino.
E poi arriva, amaro più del fiele,
il buio risveglio sopra i cumuli di zolfo
e non c’è luce nell’inferno sconosciuto,
non c’è finestra che si apra nel mattino.
E ci rimane il sapore immaginato
che fantasia ha costruito nella mente
e ci vestiamo al chiarore della luna
che osserva ignara del destino che ci aspetta.
III classificato ex aequo
POLVERE DI LUCE (di Jennifer Bertasini)
“Piccona, solleva, trasporta!” –
su vertebre di schiena ritorta
gravano massi di sfruttamento:
a esacerbare il tormento
di Sisifi nudi e sudati
(mai debitamente pagati).
“Trasporta, piccona, solleva!” –
sull’orizzonte si eleva
fumo di zolfo bruciato
da camini sottili e pallidi
(ancor più di cenci squallidi
su un corpo emaciato).
“Solleva, trasporta, piccona!” –
è il capomastro che intona
un lugubre canto ritmato
a ombre ricurve destinato.
Piedi scalzi, a passo macilento,
scalciano polvere nel vento;
i polmoni, nel petto incavato,
a stento raccolgono il fiato.
Scie di lacrime, saliva, sudore
su gote infiammate dal calore
evaporano nell’aria riarsa.
Mai di riposo è apparsa
la speranza per i carusi –
né di sollievo dagli abusi.
Se si stracciano le vesti,
se ne abbandonano i resti;
collassare contro un muro
è punito a muso duro:
da lanterne, delle fiammelle
vengon accostate alla pelle.
Da un Cocito paradossale
calore, non ghiaccio, t’assale,
si arranca sino all’uscita:
è l’unico istante in cui la vita
appare, d’un soffio, diversa:
la luce negli occhi si riversa…
E brillano, in pupille dilaniate,
granelli di realtà immaginate.
III classificato ex aequo
AUTUNNO (di Giuseppa Purpura)
Come fragili foglie
al vento d’autunno,
si posa lieve
in fondo al cuore
nuova malinconia.
Sul lungo viale alberato
le anime verdi
dicono addio
al loro stanco vestito
sotto una leggera pioggia
mentre i passi di solitarie
ombre scivolano sul selciato
avvolte nella propria esistenza
di anime inquiete.